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I limiti del tuo io sono i limiti del tuo mondo

I limiti del tuo io sono i limiti del tuo mondo
I limiti del tuo io sono i limiti del tuo mondo

La nostra vita è dominata, più di quello che siamo disposti ad ammettere, dalle nostre emozioni.
L’emozione è un processo fisiologico a metà tra pensiero ed azione, che ha una funzione evolutiva fondamentale: predisporre l’organismo a rispondere prontamente ad un cambiamento intevenuto nellà realtà esterna.
Ma allora, se hanno una funzione naturale ed evolutiva così importante, perchè in determinate circostanze le nostre emozioni diventano un ostacolo anzichè una risorsa?

Possiamo affermare che una emozione (ad esempio la paura) è adattiva nel momento in cui è stimolata da un evento esterno congruo (ad esempio un pericolo), ma diventa disadattiva nel momento in cui persiste anche quando la realtà esterna è rientrata nella normalità.
In realtà è scientificamente più corretto affermare che le emozioni sono sempre adattive. Sono le memorie procedurali ad esse connesse che possono diventare disadattive (vedi articolo in cui ne parlo diffusamente).

Ora, ritornando all’esempio precedente, possiamo dire che la paura è disadattiva quando persiste, trasformandosi in ansia.
La “persistenza” di uno stato emotivo, in tal senso, sembra a questo punto collegata ad un pericolo che è diventato interno, e non più esterno.
La definizione di “pericolo interno” potrebbe sembrare concettuale, stando ad indicare, metaforicamente, una sensazione soggettiva.
In realtà quel pericolo esiste realmente, nel nostro corpo, ed ha basi neurofisiologiche concrete.
Un corpo “allertato” mostra alterazioni riscontrabili in tutti i comparti: muscolatura liscia e striata, sistema nervoso ed endocrino, ritmo cardiaco, respiro. A lungo andare tali modificazioni diventano croniche, formando delle memorie inconsce che guidano invisibimente la nostra esistenza
Nella psicologia clinica e sperimentale stiamo assistendo sempre di più alla validazione di modelli bottom-up (dal basso verso l’alto) in antitesi a quelli top down (dall’alto verso il basso).
L’idea tradizionale, decisamente “cervello-centrica”, era che i processi cognitivi guidassero gli eventi emotivi e corporei.
Ci sono sempre più evidenze invece che molti fenomeni di ordine cognitivo sono il risultato, piuttosto che l’agente, di affetti profondamente radicati nel corpo.
Cito, solo come esempio, la teoria polivagale di Porges, che mostra inaspettati collegamenti tra il sistema nervoso autonomo, l’esperienza affettiva ed i comportamenti sociali. ( Stephen Porges – La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni)
In estrema sintesi possiamo dire che il nostro cervello, che ingenuamente abbiamo considerato “il creatore” degli eventi emotivi e corporei, in moltissimi casi non è altro che il terminale di processi molto complessi, che avvengono a livello inconscio.
La mente prende atto di fenomeni che non è in grado di decidere, né tantomeno di dominare , ed interpreta la realtà esterna in funzione di essi.
Potremmo dire che i nostri stati interni colorano la percezione degli oggetti e delle persone.
Siccome però la mente difficilmente accetta di non essere padrona in casa propria, può rivendicare la paternità di fenomeni che non è in grado di dominare.

Prendiamo l’esempio di un bambino che viene regolarmente invaso nella sua intimità. La sua mente, ma sopratutto il suo corpo, sarà regolato in modo da difendersi da questi attacchi. Anche da adulto tenderà ad interpretare la realtà in termini difensivi, reagendo a molte forme di avvicinamento “come se fosse” una invasione.
Se però se a questi sistemi difensivi inconsci viene collegato un pezzo di identità, il gioco (nevrotico) è fatto.

A noi piace conoscere sempre le ragioni dei nostri comportamenti.
In un caso del genere, ad esempio, il soggetto potrebbe pensare di avere tutte le ragioni per essere diffidente, sviluppando l’idea che il mondo sia pericoloso, gli altri tendono a soppraffare i più deboli, e così via…
Conoscere la verità, anche se illusoria, ci fornisce sicurezza. Ignorarla ci rende vulnerabili.
In linea generale abbiamo due strade, vedere i nostri limiti, provando a lavorarci, oppure indentificarci con essi.
Non è facile ammettere di essere guidati da forze che ci dominano. Molto meglio decidere che siamo noi ad aver scelto “di essere così”.

Oltretutto questa identità posticcia ha molte probabilità di venire confermata, per la semplice ragione che, ad esempio, quando qualcuno ha un atteggiamento ostile, gli altri si comporteranno di conseguenza.
Il pensiero crea realtà. Ovvero, la storia scolpita nel nostro inconscio, alimentata dalle nostre proiezioni, diventa drammaticamente reale. Stiamo parlando di quella che viene chiamata “profezia che si autoverifica”.

L’inconsapevolezza crea un circolo vizioso, dove diventa impossibile districarsi tra cause ed effetti.
La consapevolezza invece fa riavvolegere il nastro dal verso giusto, innescando il primum movens di un circolo virtuoso.

Il presente è l’ultimo di una serie di articoli (che potete trovare nel seguente link) che rappresentano la traduzione in forma scritta del mio intervento nella conferenza omonima, tenutasi a Bologna il 15 ottobre 2018

 

 

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